I negoziati vanno avanti per scongiurare la guerra ma le tensioni non mancano e, Robert Serry, inviato speciale per l’Ucraina del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, è stato fermato e trattenuto da uomini armati a Sinferopoli, capitale della Crimea. A testimonianza del clima incerto si sono formate lunghe file davanti ai centri di arruolamento ucraini. Sono aspiranti reclute, ragazzi, uomini, pronti a prendere le armi nell’eventualità in cui un conflitto con la Russia diventasse inevitabile. E sono centinaia, tanto che il centro nel cuore di Kiev è stato costretto a chiudere i battenti perché i volontari erano molto più numerosi delle effettive disponibilità di posti nelle Forze Armate.
La battaglia che sta avvenendo sul nostro pianeta è per l’utilizzo delle risorse energetiche ed alimentari, l’accaparrarsi di questi elementi diviene indispensabile per la futura sopravvivenza. Il gas naturale, di cui la Russia è un grande produttore, diviene un aspetto estremamente importante in questa disputa, spesso usato come arma per destabilizzare i mercati e aumentarne i prezzi a proprio uso e consumo.
Ho preso spunto per questo articolo dal quotidiano New York Times, il quale afferma che gli americani non stanno a guardare e la crisi in Crimea sta accelerando gli sforzi dell’amministrazione Obama per ridurre la dipendenza dell’Ucraina dalla Russia per il gas, in modo tale che possa essere minata la capacità del presidente Putin di utilizzare le forniture di gas del suo paese come arma. I leader repubblicani e le principali compagnie petrolifere americane hanno esortato l’amministrazione Obama ad accelerare le prime esportazioni, da parte degli Stati Uniti, di gas naturale.
La Russia, che rifornisce per il 60% l’Ucraina di gas naturale, ha comunicato nei giorni scorsi che non avrebbe più concesso il gas con il solito tasso di sconto, mossa già effettuata nel 2006, 2008 e 2009 per diminuire le forniture di gas naturale verso l’Europa e l’Ucraina. Per comprendere l’importanza della posta in gioco riporto il comunicato di Gazprom, la più grande compagnia russa ed il maggiore estrattore di gas naturale nel mondo, che elenca i principali acquirenti di gas naturale dalla Russia nel 2012:
Germania 1201 miliardi di piedi cubici
Ucraina 1162 miliardi di piedi cubici
Turchia 954 miliardi di piedi cubici
Bielorussia 696 miliardi di piedi cubici
Italia 533 miliardi di piedi cubici
Polonia 463 miliardi di piedi cubici
Gran Bretagna 413 miliardi di piedi cubici
Repubblica Ceca 293 miliardi di piedi cubici
Francia 290 miliardi di piedi cubici
Ungheria 187 miliardi di piedi cubici
La strategia dell’amministrazione Obama è quella di muoversi in modo più aggressivo e rapido, per minare le vendite di gas naturale russo e le eventuali mosse di Putin nei prossimi anni. Gli Stati Uniti non hanno ancora cominciato ad esportare il proprio gas naturale, ma il Dipartimento dell’Energia ha cominciato a rilasciare permessi a società americane per iniziare l’esportazione di gas naturale a partire dal 2015. L’obiettivo è quello di resistere all’aggressione russa e nello stesso tempo creare posti di lavoro negli stati Uniti.
Assieme alla lingua e alla storia, il gas naturale è il collante più forte che lega la Russia e l’Ucraina, una fonte di forza per entrambi, ma anche la loro grande vulnerabilità. La Russia è obbligata per contratto a fornire gas naturale verso l’Europa occidentale, e Mosca rimane fortemente dipendente dai gasdotti ucraini per arrivarci, nonostante la costruzione del gasdotto Nord Stream che attraversa il Mar Baltico giungendo direttamente in Europa senza passare dall’Ucraina. Inoltre è in costruzione il gasdotto denominato South Stream, anch’esso giungerà in Europa senza passare dall’Ucraina e dovrebbe essere pronto nel 2015.
La Russia è dipendente dalle esportazioni di energia per circa la metà delle entrate del governo, ed ha sempre usato il gas naturale come mezzo d’influenza. Non dimentichiamo che la Russia è anche un grande produttore di petrolio, il quale potrebbe compensare le eventuali difficoltà con il gas naturale, infatti sta già beneficiando del rialzo dei prezzi dell’oro nero a causa del conflitto in Ucraina, prezzi che sono destinati ad aumentare ulteriormente.
L’alibi russo che invoca la difesa dei cittadini russi in Ucraina non regge visto che gli interessi sono ben altri. La Crimea con la sua posizione strategica ed i suoi porti utilizzati dalla marina militare russa, l’Ucraina come zona di passaggio degli oleodotti che trasportano il gas naturale in occidente, sono tra le cause più attendibili dello sfociare di questa tensione mai sopita del tutto.
L’Europa che fa? Per il momento sta a guardare e si muove dal punto di vista diplomatico, temendo che le sanzioni minacciate dagli Stati Uniti possano divenire un boomerang, in modo particolare la Gran Bretagna è contraria, confermato anche da uno scatto fotografico di un documento che circolava a Downing Street nel quale era scritto di non sostenere sanzioni commerciali e di non chiudere i centri finanziari di Londra ai russi.
Un altro piccolo segnale: da un paio di giorni il Daily Telegraph, quotidiano vicino al governo Cameron, sta pubblicando diversi articoli sull’inutilità e la dannosità delle sanzioni: «Le sanzioni farebbero più male a noi che a Putin», si leggeva ieri. Meglio proseguire sulla strada della diplomazia, allora.
Vediamo allora dove porterà questa diplomazia, e credo che lo sapremo presto.