“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle contoversie internazionali”, bello questo articolo della nostra Costituzione, peccato che non venga minimamente considerato, anzi mascherato e spalmato in tantissime “missioni di pace” che hanno il solo intento di proteggere i nostri interessi e quelli dei nostri padroni americani.
Inoltre, quando non possiamo andarci di persona, mandiamo in giro per il mondo le nostre armi, per esempio, come spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa, nel 2012 sono state rilasciate autorizzazioni per 470 milioni di euro per l’esportazione di sistemi militari verso lo Stato israeliano, e probabilmente anche ai palestinesi.
La cifra è impressionante, più del doppio di quanto totalizzato insieme da Francia e Germania, e questa notizia la dice lunga sull’incoerenza di un Paese come l’Italia che professa la pace proponendosi anche come mediatore, e nello stesso tempo aiuta a creare le condizioni perché questo mercato rimanga attivo e produttivo.
Nello specifico, come riportato dal Sole 24 Ore, oltre il 41% degli armamenti regolarmente esportati dall’Europa verso Israele sono italiani, provenienti dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia, frutto di un accordo del terzo governo Berlusconi che, nel maggio 2005, ratificò un accordo di cooperazione con Israele in ambito militare.
Siamo davanti alla solita incoerenza umana, da una parte si professa la pace disposti anche a morire per questo, un punto in cima ai programmi di ogni forza politica, poi di soppiatto, ma neanche tanto, si allunga un’arma in maniera tale da pungolare un conflitto dal quale trarne guadagno.
Come nel piccolo come nel grande, questi sono i rapporti umani, anche se in questo periodo particolarmente inficiati da forze aliene a questa umanità, le quali trovano un canale privilegiato nell’avidità imperante sul nostro pianeta. Siamo fatti così, lottiamo per avere ragione e poi, quando ce la danno ci ribelliamo riproponendo un ulteriore conflitto.
Che cosa se ne fa l’umanità in questo momento della pace? Poco o nulla, perché non sa cosa farsene visto che non la conosce, rispetto alla guerra che trova più gradevole riconoscendosi in essa. Nella guerra ci si può lamentare, nella guerra possiamo vedere l’altro come un nemico, nella guerra possiamo trovare le giustificazioni per annientare l’altro per elevare noi stessi al rango di vincitori.
La vera vittoria è la pace senza se e senza ma punto. Non siamo ancora pronti a reggere il “prurito” della ferita che sta guarendo, abbiamo ancora bisogno di grattarci per riaprirla quella ferita, risentendo un dolore che giustifichi il nostro odio da riversare sull’altro.
Le parole non servono ci vogliono i fatti, i quali ci comunicano che Israele e Palestina hanno bisogno di consumare il loro odio ancora per un po’ di tempo visto che ora non possono fare altrimenti.
Bisogna trovarsi con il culo per terra per volere la pace, si vede che non è ancora il momento, ed è giusto che le cose vadano in questo modo affinché si possano consumare adeguatamente.
Due popoli che si scannano, un terzo incomodo di turno che fornisce loro gli strumenti perché ciò avvenga… non resta che attendere, tanto nulla cambia se viene imposto, quando rimarranno solo un israeliano e un palestinese potranno magari guardarsi negli occhi e cogliere quel senso di unità che è presente in ogni essere umano.